Nell’archivio di Franco Ruta, una traccia per il futuro

Nell’archivio di Franco Ruta, una traccia per il futuro
21 Febbraio 2019 Concetta Bonini

A tre anni esatti dal giorno in cui a Franco è toccato di lasciarci, facendosi soffio sopra il nostro tempo, non è retorico dire che l’unica ragione per cui non ci manca è che in effetti ancora ci accompagna. Parole e idee riemergono come nuove tra le sue tracce – innumerevoli, mai casuali – e ci si rimescolano davanti come inedite carte da decifrare, come spesso erano le sue esortazioni.

Nel condurre l’opera dell’Associazione che porta il suo nome, ci siamo fatti carico dell’ambizioso, avvincente lavoro di riordino del suo sterminato archivio, per poterlo consegnare – speriamo in un tempo congruo, ma certo non più breve di quel che richiede l’enormità dell’impresa – alla fruizione di tutti coloro che così potranno ancora a lungo incrociarlo sulla propria strada e trattenere un dono dall’incontro con lui.

Musicassette incise di esilaranti frammenti radiofonici, decine e decine di metri di negativi fotografici, pile su pile di ritagli di giornali che attraversano i decenni, e poi ancora lettere che tessono le narrazioni delle sue feconde, privilegiate amicizie, e quaderni e appunti, e libri e progetti, e regali e oggetti: se davvero si può raccogliere la collezione delle molte cose che definiscono una vita, se davvero si possono intrecciare i fili che tessono le ragioni della sua irripetibilità, noi abbiamo letteralmente aperto lo scrigno di un tesoro nascosto.

Franco Ruta è stato il testimone di un tempo. Ha scelto di esserlo, per potersi fare precursore di un altro. Lo ha fatto da un luogo preciso – una città, un vicolo persino – che è riuscito a trasformare in una finestra sempre aperta sul mondo. E lo ha fatto in tanti modi diversi – da reporter, da lettore, da imprenditore – che gli hanno consentito di contaminare relazioni, esperienze, conoscenze, lasciando che fosse poi quest’amalgama a guidare intuizioni, scommesse, decisioni.

Provare a raccontarvelo tutto insieme sarà il nostro più ambizioso obiettivo.
Nel frattempo asseconderemo, tuttavia, il desiderio di condividere le scoperte in cui, di volta in volta, andremo inciampando lungo questo lavoro.

Cominciamo oggi stesso da un plico giallo datato 2004, lasciato ordinato e intatto, che contiene gli indizi per sapere come sarebbe stato il famigerato Igp per il Cioccolato di Modica, se a scrivere il disciplinare fosse stato – come avrebbe voluto – Franco Ruta.
Tutto è cominciato infatti da una bozza stesa a penna di suo pugno – con tanto di allegati – su un ordinario block notes dell’Antica Dolceria Bonajuto.

 

Una bozza che aveva già un antenato – condiviso tra il 2002 e il 2003 con la Camera di Commercio di Ragusa – nella Proposta di riconoscimento della specialità tradizionale garantita (Stg) “Antico Cioccolato Artigianale”, per la quale già Franco aveva iniziato un ‘braccio di ferro’ con Bruxelles per stringere le maglie e tutelare il prodotto: “Fare qualità in Italia – dichiarava Franco Ruta all’inserto economia de La Sicilia del 31 marzo 2002 – non rappresenta un obiettivo da raggiungere, ma un tesoro da mantenere: per questo si è ulteriormente lavorato sul disciplinare, per renderlo più restrittivo in termini di requisiti di qualità e più aderente alla tradizione”.
L’ossessione di Franco Ruta per la qualità e per la tradizione, come pilastri di ogni eventuale successiva operazione di marketing, la dimostra la lungimirante previsione di precisare – già nella bozza del 2003 – che il cioccolato si sarebbe dovuto ottenere “con l’esclusivo utilizzo di cacao in fave”, precorrendo il naturale orientamento del mondo del cioccolato artigianale contemporaneo, sempre più determinato a fare un passo indietro nella filiera e ad assegnare una specifica importanza alla selezione dei semi da lavorare.
“Le fave di cacao utilizzate dovranno essere di prima scelta, prive di qualsiasi difetto”, scriveva Franco nella sua bozza, assegnando al cioccolatiere il compito della torrefazione e macinazione, pur precisando: “Qualora la fase di produzione iniziasse dalla massa di cacao o dal cioccolato di copertura in blocchi, sarà obbligatoria la certificazione del produttore iniziale”.
E alla sua ossessione per la qualità si affiancava – inevitabilmente – quella per la storia, come dimostra l’imponente collezione di ritagli da autorevoli testate giornalistiche che cominciavano a narrare all’Italia e al mondo del Cioccolato di Modica e che resistono in questo archivio, infischiandosene di chi nel tempo ha omesso di citarli.
Solo in questo plico giallo, Franco ne aveva conservati due: un reportage di Gigi Padovani su Specchio pubblicato – ironia della sorte – il 21 febbraio 2004, e uno di Attilio Bolzoni pubblicato su Repubblica il 13 marzo 2005. “Franco Ruta è un uomo speciale”, scriveva Bolzoni: “Suo nonno materno era Francesco Bonajuto e faceva un cioccolato come lo facevano gli aztechi. E anche lui fa lo stesso cioccolato. Ricetta tramandata nell’antica contea di Modica dalle famiglie dominanti spagnole, i conquistadores che tornavano dal Messico. Dopo Franco, tutti a Modica hanno prodotto il suo cioccolato. Un’altra grande ricchezza per questi siciliani”.
Una storia che noi, oggi, continuiamo a ricordare – e a raccontare – esattamente così.